Il 27 marzo ricorre la Giornata Mondiale del Teatro, una data che non posso dimenticare.
E così oggi colgo l’occasione per farvi scoprire un aspetto del mio diario che non conoscete: il capitolo si intitola proprio teatro.
Sono profondamente legata a questo mondo per varie ragioni.
Nel mio DNA la parola recitazione è impressa come un gene di cui non posso fare a meno per via delle radici napoletane di mia nonna.
A casa sua Edoardo de Filippo era quasi un’istituzione sacra; imperdibile ogni dicembre la visione di “Natale a Casa Cupiello” con quella battuta “Te piace o’ presepe?” che ha reso celebre un capolavoro di recitazione e di napoletanità.
Nonna Ines viveva la sua quotidianità come un palcoscenico.
Anche un banale bisticcio diventava un capolavoro di recitazione, tra cambi di tono di voce e gesti che rendevano ancor più forti le sue parole.
Sono legata al teatro poi perché sin da bambina ho avuto il privilegio di calcarne il palcoscenico, una passione che porto avanti ancora oggi.
Di recente sono stata voce narrante, Madonna Capuleti grazie ad una persona cara che ha visto in me la possibilità di interpretare ruoli così distanti, pieni di sfaccettature.
Ho avuto il privilegio di leggere passi estratti da libri nati dal genio di autori contemporanei all’interno della Biblioteca Angelica di Roma, con il cuore trepidante di emozione.
Nel corteo storico del mio paese sono un giullare che tesse la narrazione di quanto accadeva ai tempi lussureggianti e porporati del temibile Abate Commendatario Rodrigo Borgia, futuro Papa Alessandro VI.
Se c’è poi un episodio in particolare che ha impresso in maniera definitiva la passione per il teatro è senza dubbio il mio percorso di studi classici.
Ho scoperto restandone stupita quanto il teatro faccia parte della storia dell’uomo da sempre.
Studiosi moderni sono in grado di affermare come già tra i popoli primitivi esistessero delle forme di spettacolo antenate del teatro vero e proprio.
C’è un luogo però dove il teatro raggiunge il suo apice, il punto massimo della sua parabola: Atene.
La parola teatro in effetti deriva dal sostantivo greco “ϑέατρον”, a sua volta derivante dal tema del verbo “ϑεάομαι” «guardare, essere spettatore».
Teatro quindi significa stare a guardare, osservare ciò che accade lasciandosi rapire da quella magia.
In Grecia il teatro aveva una particolarità in quanto riusciva ad abbracciare tre diversi ambiti: religione, politica e cultura.
Lo spettacolo infatti traeva le sue origini dal culto di Dioniso, un Dio prezioso per i Greci in quanto rappresentante della natura, dell’estasi e quindi di una caratteristica intrinseca dell’uomo: l’istinto.
Già da qui comprendiamo come sin dalle origini il teatro riesca ad abbracciare l’uomo nella sua interezza.
La sua fisicità che lo rende protagonista sul palco, la sua mente con i dubbi, le paure, le decisioni o l’abbandono all”istinto primordiale che ancora oggi è parte di noi.
Teatro però era anche attività politica perché l’organizzazione dello spettacolo era compito di tutta la polis: quella collettività di uomini liberi quindi viveva meravigliosamente il doppio ruolo di committente e destinatario dell’opera teatrale.
Infine teatro significava cultura ma per comprendere questo dobbiamo tener presente come l’attività teatrale rientrasse in una sorta di competizione.
Gli autori delle opere messe in scena infatti venivano votati da un collegio di giudici, scelti per sorteggio per arrivare così a premiare il vincitore.
Solo attraverso questa dovuta premessa comprendiamo la funzione educativa del teatro nell’Antica Grecia.
Lo spettatore, venuto per guardare in realtà vive un’esperienza diretta.
Il protagonista dell’opera infatti è quel singolo individuo che con tutta la sua complessità va a confrontarsi con il coro che rappresenta la collettività della polis.
Lo spettacolo teatrale quindi diventa specchio della relazione tra individuo e collettività, quello stesso confronto che ha reso Atene la madre della democrazia, con la possibilità del singolo individuo di partecipare alla vita politica.
Il teatro quindi come ESPERIENZA DI VITA non solo in quella visione dualistica di continuo scambio però.
La meraviglia del teatro greco sta nel fatto che l’individuo ha la possibilità di vivere un’ esperienza più personale che si consuma nel momento della catarsi.
Nel vedere le pene, le passioni che infiammano l’attore, l’uomo-spettatore trova consolazione per se stesso, per la sua condizione.
Il teatro così diventa anche CURA, BALSAMO DELL’ANIMA.
Voglio concludere con le parole del nostro Edoardo “Con la tecnica non si fa bene il teatro. Si fa il teatro se si ha fantasia”: riscopriamoci allora bambini e lasciamo che la fantasia, l’istinto di Dioniso ci pervada!