Ci sono esperienze che anche se vissute in adolescenza si imprimono sulla nostra pelle per restarci per sempre.
Sono pagine del libro della nostra vita che diventano parte di noi, rimangono sopite per poi affiorare all’improvviso.
In quell’istante non sappiamo il motivo per il quale quel momento ci abbia colpito ma in età matura è come se proprio quel libro ci portasse a tornare indietro proprio a quell’episodio.
E’ solo in quel preciso momento che tutto acquista un senso, proprio come è accaduto ad Umberto Eco.
Aveva solo 16 anni quando, in occasione di alcuni esercizi spirituali a cui prese parte, arrivò a Subiaco e rimase affascinato dalle bellezze benedettine custodite nelle nostre terre.
Un punto specifico del monastero di Santa Scolastica lo colpì: la meravigliosa biblioteca, piena di meandri, codici preziosi, bellezze uniche.

Chissà cosa pensò quando la vide: forse ipotizzò segreti da nascondere, tesori da proteggere…
Sta di fatto che quell’esperienza adolescenziale ispirò una delle sue opere più celebri: “Il nome della rosa” che quest’anno soffia ben 40 candeline.
Era proprio il 1980 infatti quando ne uscì la prima edizione per Bompiani e da lì quella fatica letteraria si trasformò in un bestseller.
Subiaco e il libro hanno un legame speciale, frutto di un intreccio magico.
Penso al lontano ‘400, quando Sweynheym e Pannartz importarono il modello tipografico tedesco rendendo la nostra città culla del libro stampato in Italia.
E poi quel viaggio di Umberto Eco, senza il quale forse Il nome della rosa non sarebbe mai esistito.
Subiaco è in qualche modo, da secoli, faro culturale per l’Italia intera.
Essere consapevoli di chi siamo, ricordarci il passato, rileggerlo con competenza in ottica futura ci aiuterà a capire quale direzione dovrà prendere la nostra città.