Diario di Vale

“Può esistere una dolce morte?”

Il 25 settembre la Corte Costituzionale ha emesso una sentenza storica che ha prodotto due risultati:

1) aprire la porta al suicidio assistito;

2) sottolineare quanto sia lungo il percorso legislativo che il Parlamento deve ancora compiere per colmare la lacuna in materia esistente in Italia.

Una cosa è certa: al di là dei macro effetti suddetti che sono sotto gli occhi di tutti noi, la vicenda di Dj Fabo ha prodotto in me degli echi importanti. Nella mente si sono addensati dubbi, quesiti, senso di inadeguatezza rispetto alla possibilità di comprendere una tragedia umana simile.

Fabiano Antoniani, per tutti Dj Fabo, aveva una vita normale e bellissima: amava la musica ed era riuscito a fare di questa sua passione un lavoro, viveva in India, la sua terra ideale ed aveva accanto l’amore di una vita, Valeria.

Sembra un giorno come tanti quel 13 giugno del 2014 eppure cambia la vita di Fabo per sempre: incidente stradale, prognosi irreversibile con paralisi totale e cecità.

Quella bellissima vita sfuma, tutto cambia: eppure Valeria resta con lui ogni giorno, anche quando il suo uomo sceglie di porvi fine.

E’ Valeria stessa a cercare aiuto fuori dall’Italia dove il suicidio assistito non è consentito: si mette in contatto con l’esponente dei radicali Marco Cappato il quale suggerisce la clinica svizzera in cui Fabo potrà scegliere di morire. Da lì il processo penale a Cappato che tutti conosciamo. 

La prima domanda che mi sono posta è stata: sarei stata capace, da donna, di accettare la scelta dell’uomo che amo di porre fine alla sua stessa vita e di accompagnarlo fino a quel momento?

Se invece fossi stata sua madre cosa avrei fatto? Forse l’amore in entrambi i casi mi avrebbe resa così egoista da mettere la paura del dolore che avrei vissuto al primo posto, sarei stata sorda rispetto alla richiesta di aiuto di porre fine ad una vita così diversa da quella precedente.

La prova più alta dell’amore è senza dubbio saper rispettare la volontà di chi si ama, anche se questo vuol dire promettergli di perderlo per citare il libro scritto proprio da Valeria dopo la morte del suo Fabo.

Se è vero che amare è appartenersi senza possedersi forse io non capace di amare così.

Chi può stabilire poi quale sia la vita degna di essere vissuta e quale non lo sia?

Possiamo davvero noi uomini affidarci esclusivamente al nostro libero arbitrio escludendo dalle nostre vite la morale? 

L’esito di questa sentenza preoccupa la CEI che teme i risvolti della cultura della morte che potrebbe diffondersi in seguito alla sentenza costituzionale.

Da cattolica io stessa reputo la vita come un valore, in tutte le sue forme e inclinazioni, è un dono speciale perché nessuno di noi ha scelto di chiederla e di venire al mondo in quel preciso istante.
Ma da quando la riceviamo ne siamo custodi sapendo che è un dono che non sappiamo perché ci sia dato e soprattutto quando ci verrà tolto.
Questo ci rende responsabili perché è come se tenessimo in custodia qualcosa che abbiamo in prestito e non ci appartiene del tutto.
Mi auguro che il Parlamento dopo questa sentenza, che resterà comunque storica, si metta a lavoro per varare un ddl che non sia una gara tra i vari partiti per aggiudicarsene la stesura ma che al centro della discussione venga posta la vita e le implicazioni che essa stessa prevede, non solo per l’individuo che la possiede ma anche per chi gli vive accanto e lo ama. 

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